Rimpatriata dei reduci e combattenti del craxismo al Teatro Duse. In scena "Hammamet", con quattro poesie di Bettino - Bobo Craxi: "Dopo 12 anni i versi inediti di mio padre rivelano il dolore e la solitudine dell'esilio" - Pochissimi ma buoni: Formica, Luca Josi, Ferdinando Pinto - "Nessuno può essere ridotto ai suoi errori". Sipario...

 

 

 

 

 

Dagospia (www.dagospia.com) - 3 luglio 2012

 

Articolo illustrato da foto di Mario Pizzi da Zagarolo

 

Cafonalino

 

Notte africana al Teatro Duse. Nella serata dei santi Pietro e Paolo tocca a Benedetto, Craxi, in arte Bettino, ricordarci in quale girone dantesco ci siamo infilati. Facendo tutto da soli.
Stipati in sala: il figlio Bobo, che leggerà le poesie inedite del padre; Rino Formica, senza Tremonti; Luca Josi, il segretario dei "giovani socialisti che furono" e tanto caldo. Sono tutti lì per ascoltare: "Hammamet" con il bombastico testo e la regia del giovane drammaturgo siciliano, Massimiliano Perrotta, che il giorno in cui morì Bettino Craxi si trovava in un ufficio della sinistra radicale romana per ascoltare: «Craxi è morto, andiamo a brindare».

 

Simpatizzante di Rifondazione Comunista, diciottenne ai tempi delle monetine dell'Hotel Raphael, Perrotta è più bravo a raccontare Craxi dei suoi cantori autorizzati: "le procure istruivano le indagini e le condanne venivano decretate sui giornali, sugli autobus, nei bar".
Consulenza storica di Mattia Feltri e ringraziamenti da Filippo Facci a Marco Travaglio. Anni di immersione totale in ogni scritto della craxeide.

 

E' un Craxi che in una frase spiega 50 anni di riformismo a questo paese che panifica più chiacchiere che michette: "Ho sempre pensato che sporcarsi le mani per il poco socialismo attuabile in una data condizione storica fosse preferibile all'aspettare al bar la rivoluzione di domani" e liquida così la "cosiddetta società civile, quella che nel nome dell'antipolitica favorì il nostro annientamento".

 

Ma il lavoro del Perrotta-Craxi è dedicato ai tecnici (Amato? Ciampi? Dini? Monti?) "Quella società civile che auspicava il governo dei tecnici. Ma un governo dei tecnocrati, degli esperti, dei presunti migliori, non legittimato da nessun elettorato, non è che l'arbitrio nella sua quintessenza. E invece tutti in coro a ripetere che la politica deve essere gestita dai tecnici. Secondo me la politica la devono gestire i tecnici, la devono gestire i contadini, la devono gestire gli operai, la devono gestire le donne, i giovani, gli imprendiori, i sindacalisti, gli intellettuali...".

 

"Per decenni" per il Craxi di Perrotta "ci si era attesi dalla politica la soluzione di tutti i mali, la si era caricata di speranze messianiche: era inevitabile che tutto sfociasse in rabbiosa delusione. Ma come irrazionalmente ci si era aspettati dalla politica la soluzione di tutti i mali, altrettanto irrazionalmente si passò ad accusarla di tutte le nefandezze. Io che la politica l'ho guardata negli occhi, ne ho avvertito il lezzo ma anche la nobiltà. Parlo della politica vera, non di quella idealizzata o fantasticata. Il compito della politica in una democrazia non è di sovvertire l'ordine vigente, ma è quello di costruire attraverso l'arte della mediazione una sintesi la più avanzata possibile delle forze sociali in campo. La politica non mira, come sostengono i reazionari, al male minore, ma al bene possibile in un dato momento e in una data condizione".

 

Bobo Craxi, si emoziona, legge alcune poesie del padre e al termine della tragedia si allontana con l'attore Roberto Pensa - un'impressionante Craxi. L'Italia è ferma. Roma è ferma ma a Craxi, e non solo, gli girano ancora.
"Nessuno può essere ridotto ai suoi errori". Sipario.